Pollo alle Prugne come Persepolis, o quasi. Del resto, il processo creativo sembra lo stesso. Si parte da una graphic novel di Marjane Satrapi che ha riscosso molto successo e la si trasforma in lungometraggio con la stessa autrice francese dietro la macchina da presa coadiuvata da un altro fumettista, il francese Vincent Paronnaud. La differenza, e a molti la potrebbero trovare fondamentale, è però che, differentemente da Persepolis, qui gli attori sono in carne ed ossa. E così eccoci nell’Iran del 1950 a seguire gli ultimi otto giorni di vita di un musicista che ha deciso di rinunciare alla vita dopo la rottura del suo amato violino.
Sembra un pretesto stupido per morire e l’atmosfera da commedia che gira intorno al racconto può lasciare pensare che ci sia presto un colpo di scena, nessuna morte, ma un prologo che volutamente vuole fuorviare lo spettatore per poi dargli un appagante happy end, e per evitare che l’aspettativa si crei, la Satrapi decide di mostrare poco dopo il funerale, e raccontare il resto della storia come un lungo flahback. Il protagonista è senza dubbio il musicista, ma come in un libro di Don De Lillo, tutti i personaggi che entrano in contatto con lui guadagnano una propria, ed individuale, porzione di “storia”: dalla mamma, ai figli, passando per la moglie e l’amante. E così, nonostante le tante dilungaggini che in più punti riescono a ricordare il peggiore Jean-Pierre Jeunet, con musiche e colori da cartoline pro-diabete, il racconto riesce a poco a poco a delineare un proprio percorso narrativo che, negli ultimi venti minuti, è di una tale poesia e forza visiva da commuovere. Tutti i vari pezzi del puzzle si vanno ad incastrare creando un cuore pulsante di emozioni che trasmette benissimo le ragioni del gesto del violinista (un bravissimo Mathieu Amalric) fino ad oltrepassare la storia del “personaggio” per diventare riflessione sulle vite di ognuno di noi, le nostre aspettative, delusioni, sensibilità e capacità di simboleggiare i sentimenti negli “oggetti”.
I difetti, come detto, ci sono, e sono quelli di un film spesso autocompiaciuto del proprio stile zuccheroso e post-fumettista, ma sulla bilancia del totale, il giudizio non può che essere positivo. Non ci sono dubbi, per la Satrapi, la carriera di regista è ormai una realtà. E chissà che la giuria del Festival di Venezia non voglia premiarla per sancire il tutto…
Tornate nel pomeriggio per altre recensioni da Venezia, che potrete trovare cliccare sulla nostra scheda evento qui sotto (anche sul Mi Piace per ricevere gli aggiornamenti). Inoltre seguite il nostro account Twitter con tante curiosità in diretta dai nostri inviati in Laguna.