Blood Story, la recensione in anteprima

Pubblicato il 27 settembre 2011 di Filippo Magnifico

Blood Story Teaser Poster ItaliaRegia: Matt Reeves
Cast: Kodi Smit McPhee, Richard Jenkins, Chloe Grace Moretz, Elias Koteas, Cara Buono, Sasha Barrese, Seth Adkins, Dylan Minnette
Durata: 1h 55m
Anno: 2010

La vita del piccolo Owen (Kodi Smit-McPhee) non è sicuramente tutta rose e fiori. Crescere è già difficile di per se, infatti, e lo è ancor più se sei il bersaglio dei bulletti della scuola, che non perdono occasione per umiliarti in modi sempre peggiori. A questo si unisce una situazione famigliare che di certo non aiuta, con dei genitori sull’orlo del divorzio e una madre ossessionata dalla religione e fondamentalmente assente. Le cose cambiano la notte in cui Owen fa la conoscenza di Abby (Chloe Moretz), una bambina che si è da poco trasferita nell’appartamento accanto al suo. Tra loro nasce subito un feeling, come se fossero due anime sole destinate ad incontrarsi. Ma Abby nasconde un orribile segreto.

Tra i grandi difetti del cinema americano, c’è quello di voler inglobare tutto ciò che di buono è in grado di offrire il cinema (per loro) d’oltreoceano. Sono moltissimi i casi e questo Blood Story (sorvoliamo sul perché la distribuzione italiana non abbia ritenuto opportuno lasciare il ben più significativo titolo originale Let Me In) rappresenta solo uno degli esempi più recenti. La difesa (o scusa) avanzata è quella di aver voluto offrire, più che un remake, una reinterpretazione del romanzo scritto da John Ajvide Lindqvist, ma resta una sola verità: Blood Story è stato concepito sulla scia di Lasciami Entrare, uno dei film horror (anche se il termine è altamente riduttivo) più riusciti degli ultimi anni, ed è con lui che, volente o nolente, si ritrova a dover fare i conti. Diciamo subito che da questa sfida non ne esce certo vincitore. Del resto era praticamente impossibile competere con la pellicola diretta da Tomas Alfredson nel 2008: stiamo parlando di un’opera che è riuscita a prendere le caratteristiche del cinema di genere, immergendole in quell’atmosfera tipica del cinema d’autore europeo. Questo però non vuol certo dire che Blood Story sia un brutto film.

Conscio sia dell’ingrato compito che delle potenzialità che la storia era in grado di offrire, Matt Reeves è riuscito a confezionare una pellicola che, aggiornando il tutto in salsa yankee, perlomeno non fa rimpiangere l’originale. Il suo Let Me In è un film sussurrato, scandito in punta di piedi e senza quella voglia di strafare che troppo spesso prende il sopravvento in quel di Hollywood. Cosa che da un certo punto di vista lo avvicina più al cinema indipendente piuttosto che al blockbuster, merito di alcune scelte registiche azzeccate e indubbiamente suggestive – come per esempio il non mostrare mai apertamente il volto della madre del piccolo Owen, che aiuta a rendere concreto quell’alone di solitudine che lo avvolge – e di un plot che se da un lato ha saggiamente (o vigliaccamente, questo dipende dai punti di vista) deciso di tralasciare gli aspetti più morbosi del film di Alfredson, dall’altro ha deciso di approfondirne altri altrettanto efficaci. A questo si unisce ovviamente la splendida interpretazione dei due piccoli protagonisti, che, sfruttando il classico connubio amore/morte, riescono a toccare le vette del sentimento più puro.

In conclusione lasciate perdere quello che ha detto Stephen King: non ci troviamo di fronte al “miglior horror americano degli ultimi 20 anni”, questo è certo. Ma ad un film dignitoso, quello sicuramente sì.

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