Le idi di marzo – La recensione da Venezia

Le idi di marzo – La recensione da Venezia

Di Marco Triolo

Le idi di marzo George Clooney

“Correre per la presidenza? E perché mai? C’è uno che è più intelligente di tutti noi a fare quel lavoro e sta governando in un momento davvero terribile”. Parola di George Clooney, che al suo amato Obama ha voluto dedicare queste poche parole di tributo, quasi che non ci avesse appena deliziato con un dei più agghiaccianti film sulla politica degli ultimi anni. Quasi che nel suo film non apparisse chiaro come il cinismo e gli interessi guidino la maggior parte delle scelte dei politici.

Le idi di marzo, il film di apertura della 68ma Mostra del cinema di Venezia, segna il ritorno di Clooney al cinema politico, anche se, lui ci tiene parecchio a sottolinearlo durante la conferenza stampa, il suo non è un film politico, ma un’opera che tratta temi morali ambientata, guarda caso, durante una campagna per le primarie presidenziali. Eppure non si può fare a meno di notare come l’idealizzata figura di Obama si scontri, nel cervello di Clooney, con la galleria di ritratti nerissimi al centro del suo quarto, splendido film.

Ryan Gosling interpreta Stephen Myers, che insieme al veterano Paul Zara (Philip Seymour Hoffman) è a capo della campagna elettorale del democratico Mike Morris (Clooney), governatore che sta tentando di strappare al rivale repubblicano la candidatura alla presidenza. Stephen è giovane e idealista, ma il suo arco di maturazione lo porterà presto a esplorare i lati oscuri non solo del suo mestiere, ma soprattutto della sua anima. In gioco c’è ben più di un’elezione: ci sono sentimenti come fiducia e lealtà, c’è di mezzo una figura di tentatore quasi luciferino (Paul Giamatti), e infine l’anima di un uomo. E’ straziante vedere come lo sguardo di Gosling tradisca il passaggio dall’dealismo più puro alla disillusione più bieca.

Clooney gira con uno stile raffinato, e dona al suo film una struttura circolare e ciclica, tanto per sottolineare quanto questi meccanismi non siano “certo nuovi. Vanno avanti almeno dai tempi di Giulio Cesare”. Il bello è che l’autore, inserendosi nel filone del grande cinema di denuncia anni Settanta, non tenta di dare risposte, ma lascia “al pubblico capire chi sia Bruto e chi Cesare”, tanto per restare nella metafora del titolo.

In ultimo vale la pena citare un cast di prim’ordine, diretto benissimo. Ryan Gosling ha appena strappato il ticket per la notte degli Oscar, e non mi sorprenderebbe se vincesse.

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