Regia: Duncan Jones
Cast: Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan, Vera Farmiga, Jeffrey Wright
Durata: 93 minuti
Anno: 2011
Al suo secondo film ha già una poetica, uno stile e dei punti fermi. Duncan Jones (ex Zowie Bowie) è uno dei pochi registi in attività al momento, esplicitamente dedicati alla fantascienza intesa come “influenza sull’uomo di scenari futuri”. Con Moon aveva dimostrato una forza di volontà una visione e una determinatezza nel raggiungerla che metteva quasi paura per essere un esordio. Con Source Code (che non è un progetto interamente suo ma gli è stato affidato) ripete molta della sua poetica e riesce clamorosamente a dimostrarsi migliore del film che ha girato. Anche questo è un film i cui presupposti sono poco spiegati (chi tira le fila di tutto? il mondo sa della tecnologia alla base del film? com’è stato selezionato il protagonista?) e anche stavolta c’è un uomo che lavora in totale solitudine scoprendo di non essere quel che crede di essere. Per vincere dovrà battersi contro il sistema, dovrà cioè completare la missione di ogni film di fantascienza: affermare la vittoria dello spirito sulla materia.
Jones è bravissimo e Source Code è un film buono che poteva essere un disastro nelle mani di qualcun altro. Ha una storia d’amore molto difficile da rendere credibile, un meccanismo (il protagonista rivive continuamente i medesimi 8 minuti nel tentativo di trovare un attentatore) che con poco può sgravare nel ripetitivo e noioso o nell’imitazione dell’indubbio modello che è Ricomincio Da Capo e infine dei personaggi risaputi. Jones riesce a superare ogni difficoltà, gira gli 8 minuti ogni volta in maniera diversa (cosa che da sola rimanda ad un mondo di universi paralleli e simili ma non uguali), rende il protagonista un personaggio credibile con sentimenti credibili e trova il modo di infondere umanità e quel senso di timore e fascino per il futuro che ha la vera fantascienza.
Se Moon quindi è un film migliore di questo Source Code, è invece qui che Jones compie la vera impresa.
In questa storia di morte e rinascita continua, finalizzata a compiere una missione, c’è tutto il senso della narrazione videoludica moderna, ovvero prendere soluzioni, idee e modo di raccontare dei videogiochi (e non “stile visivo”) per adattarle ad un racconto filmico. Se ogni film giallo in fondo è un gioco (“Trova l’assassino”), questo è un vero videogioco raccontato come film.
Source Code, anche dal titolo, parte dall’idea di Matrix e finisce nel pieno della fantascienza anni ’70 (basta anche solo quell’ambientazione claustrofobica, bagnata e al limite del gotico tra Scott e Gilliam). Che non è poco.
Siamo all’arrivo di un nuovo limpido talento del cinema o una meteora come molte altre ce ne sono state? Qui le altre critiche