Regia: Andrea Molaioli
Cast: Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Fausto Maria Sciarappa, Lino Guanciale, Lisa Galantini, Renato Carpentieri, Jay O. Sanders
Anno: 2011
Il gioiellino del titolo è la Leda, azienda del settore latticino-alimentare a gestione familiare con sede nel nord Italia. Una società gestita dal patron e che dal paesino, in 30 anni, è andata alla conquista di molti mercati mondiali, che possiede anche la squadra di calcio locale e soprattutto nasconde i buchi di bilancio e le difficoltà di profitto con creatività finanziaria. La Leda insomma è la Parmalat anche se non esattamente, nel senso che le differenze con la realtà sono molte e anche la storia di come l’azienda sia cresciuta fino a scoppiare sotto il peso delle proprie falsità non segue pedissequamente quella dell’azienda di Tanzi. Però da quelle parti siamo.
Molaioli prende uno dei fatti più importanti della nostra storia nazionale degli ultimi anni e tenta la difficile impresa di raccontare il presente a partire dal passato (la vicenda inizia negli anni ’80 e finisce nel 2003), si vuole concentrare su alcuni personaggi cardine dal patron cattolico, perbenista e provinciale anche nelle aspirazioni, al contabile di fiducia irritabile e arrogante, ma alla fine crolla sotto il peso delle sue ambizioni.
Il gioiellino è un film che scorre liscio ma senza sapore. Ci sono diverse incongruenze (in almeno 20 anni nessuno invecchia, gli oggetti tecnologici non sono sempre in linea con gli anni indicati) ma non è tanto lì il problema, quanto nella costante pretesa che il racconto della realtà con qualche ammiccamento, qualche levigata (non si nomina mai il fantomatico presidente del Consiglio alle cui barzellette è meglio ridere) e una storia d’amore tipica per il genere (solitudini che si incontrano) basti per operare l’operazione durissima di mettere in scena un evento complesso che ha forti ripercussioni sul presente (come indica il cartello finale).
A tutto questo si aggiunge il “problema Servillo“. Se nessuno infatti nega la bravura immensa di questo attore stranamente esploso tardi, è anche doveroso ammettere come spesso se non è ben gestito, tenuto a bada e indirizzato nuoccia al film. Servillo tende al servilleggiamento, cioè all’imitazione di se stesso, alla cristallizzazione in due tre espressioni tipiche, forti e molto fascinose che fanno emergere l’attore sul personaggio. Quando non è diretto da registi violenti, audaci e dalla mano pesante come Sorrentino, Servillo tende a prendere il sopravvento, affascinando il pubblico con il suo volto e i suoi occhi a mezz’asta ma non servendo la storia.
Se non si sta attenti Servillo può rubare la scena con la sola presenza e può farlo lungo tutto il film, di fatto diventandone il centro invece che il motore. Era accaduto in La ragazza del lago (dove se non altro era il protagonista assoluto) ed è purtroppo quel che accade anche in Il gioiellino.
Audace tentativo di mettere in scena il presente e l’attualità o tonfo clamoroso? E Servillo è sempre utile o rischia di sfociare nel dannoso? Qui le altre critiche