Adam Resurrected, la recensione in anteprima

Adam Resurrected, la recensione in anteprima

Di Gabriele Niola

Adam Resurrected Poster 1 USARegia: Paul Schrader
Cast: Jeff Goldblum, Willem Dafoe, Derek Jacobi, Ayelet Zurer, Hana Laszlo, Joachim Król
Durata: 106 minuti
Anno: 2010

Proprio quando si pensa che ormai Jeff Goldblum riservi le sue partecipazioni a produzioni per il grande schermo solo per i film peggiori della stagione arriva Adam Resurrected, ultimo film di Paul Schrader, a rimuovere ogni convizione.
Se un certo cinema di Scorsese è decisamente finito, una sua costola vive in quello di Schrader che della gloriosa stagione ’70/’80 fu co-autore a tutti gli effetti. Non è ovviamente il cinema dei piccoli criminali e della vita pericolosa newyorchese, quanto quello dell’esame della colpa e del percorso di redenzione che ne consegue.

In Adam Resurrected in particolare convergono diverse istanze già note: la suddetta elaborazione delle colpe, il rapporto tra carne e spirito, la purificazione e l’esistenzialismo. Quest’ultimo in particolare è la componente più marcatamente schraderiana. Perchè vivere e come vivere sono domande che da sempre l’autore si pone attraverso i suoi film e Adam Resurrected mostra un consueto percorso di purificazione e salvazione (nel deserto, come Cristo) che passa attraverso l’immersione in un contesto peccaminoso.

Come il paramedico di Al di là della vita anche Adam per purificare la sua carne non affronta un percorso di bene ma assiste agli orrori e ne prende parte. Affonda per risalire. La particolare clinica psichiatrica per reduci dall’olocausto in cui è residente è popolata da esseri in cui si specchia e simboli della carne (come la straordinaria infermiera tutta ordine, rigore e sesso peccaminoso) che costituiscono la sua discesa materialmente, accompagnata a quella mentale dei ricordi.
Una purificazione inoltre che si nutre degli spazi desolati del deserto, interrotti dalle geometrie moderne della clinica, che attinge ad un serie di tecniche scorsesiane (il carrello rapido in avanti, il montaggio fatto di stacchi subitanei) ma che opera anche una ricerca sull’immagine tutta personale, dando al film uno stile, una pasta e un mood subito chiari.

Adam, che riesce a controllare il proprio corpo tanto da farlo sanguinare a piacimento, che muore e risorge di tanto in tanto (solo l’ultima resurrezione, quella spirituale sarà quella vera) ma sempre con sofferenza e che prova dolore fisico perchè è abitato dal male nella stessa maniera in cui il Cristo dell’ultima tentazione soffriva perchè abitato dalla santità, è quindi un altro fantastico esempio di come Schrader attraverso un contesto (l’olocausto e i suoi reduci) e alcune ossessioni (confrontarsi con i peccati che si è stati costretti a commettere malgrado se stessi) continui a generare nuove riflessioni e domande sul perchè viviamo e come sia opportuno vivere, se nel mezzo delle vertigini peccaminose o nella quiete e noia della tranquillità.

A suo modo indipendente, a suo modo personale e sempre interessato alle proprie ossessioni? Schrader è ancora quello di una volta? Qui le altre recensioni

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