Roma: il giorno di Let Me In

Roma: il giorno di Let Me In

Di Marco Triolo

Let Me In Foto dal Film 03

La domenica al Festival di Roma si presenta come una giornata tranquilla e con pochi eventi, anche se stanotte a mezzanotte assisterò all’anteprima di 20 minuti di Dylan Dog. Ma di quello parleremo domani.

Oggi ho potuto dare un’occhiata a Let Me In, atteso remake di Lasciami entrare diretto dal regista di Cloverfield, Matt Reeves. E il verdetto è… più che positivo. A parte un paio di effetti speciali fuori luogo, utilizzati prevalentemente per rendere l’agilità sovrannaturale della vampira Abby, il resto del film non si discosta troppo dal tono dell’originale svedese. Quello con convince in questa versione è però proprio la regia di Reeves, che si rivela un autore dotato di uno sguardo convincente e di grandissime idee visive. Innanzitutto, la geniale trovata di non mostrare mai a fuoco il volto della madre di Owen, convogliando così il senso di abbandono del ragazzino, solo in un mondo di adulti che lo ignorano e di coetanei che invece lo tormentano ogni giorno a scuola. Un’altra scena fenomenale che farà molto parlare di sé è quella in cui Richard Jenkins (che qui fa il compagno-“padre” di Abby) finisce con l’auto giù per una scarpata. La scena è solo il culmine di una sequenza più lunga che non vi svegliamo, ma che gioca magistralmente con la tensione e che lo stesso Reeves in conferenza ha detto essere ispirata a una scena di Delitto perfetto di Hitchcock. Diciamo solo che il “padre” esce per procurare sangue a Abby, ma stavolta le cose non vanno come aveva pianificato… Insomma, alla fine si schianta con l’auto e rotola giù per un burrone, con la macchina da presa che, fissata dentro l’auto, ne segue la rotazione. Finita la scena, siamo rimasti tutti a bocca aperta e abbia capito che Matt Reeves aveva davvero qualcosa da dire. Ne sentiremo parlare ancora e quando vedrete questo Let Me In capirete anche voi. Uno dei migliori remake mai visti negli ultimi anni. Ah, e i due ragazzini, Kodi Smit-McPhee e Chloe Moretz sono fantastici.

Oggi pomeriggio ho potuto anche ammirare sul grande schermo Nausicaa della valle del vento, lungometraggio di Hayao Miyazaki che spesso viene considerato il primo film dello Studio Ghibli. In realtà non è così: è stato in seguito al successo di Nausicaa che Miyazaki e Isao Takahata hanno fondato lo studio. Inutile dire che il film ha ancora molto fascino, pur condensando e spesso discostandosi dal manga originale, che all’epoca Miyazaki stava ancora realizzando. Non ci sono i colori e le animazioni strabilianti che avremmo visto anni dopo, ma si tratta comunque di un’opera di grande livello, e vederla al cinema paga. Speriamo che Lucky Red la distribuisca negli ultimi anni come ha già fatto con Totoro e Porco Rosso (visto ieri).

La serata si è conclusa con un l’incontro più esilarante del festival, finora. Abbiamo assistito a una conferenza stampa con il protagonista di My Name is Khan, film indiano interpretato dalla superstar Shahrukh Khan. Lo so, non l’avete mai sentito nominare. Eppure è uno degli attori di punta di Bollywood, e questo lo rende uno degli attori più famosi al mondo, dato che il bacino di pubblico del cinema indiano comprende un’area vastissima che tocca anche Sri Lanka e Pakistan. Insomma, circa due miliardi di persone, un quarto della popolazione mondiale. Khan ha fatto il piacione, improvvisando anche un passo di danza mentre il pubblico femminile si lanciava in un sing-along. La moderatrice è arrivata a dire che i suoi live shows (che lui tiene anche in America e Canada) attirano più pubblico di Bruce Springsteen, che sarà ospite qui domani. Anche se l’affermazione ha fatto sbuffare non pochi, rende l’idea di quanto il culto per quest’uomo sia massiccio. Le ragazze erano in delirio! Davvero, una scena indimenticabile. Khan poi si è rivelato un simpaticone, ha detto di essere musulmano e sposato con un’indù e ha parlato di tolleranza e di un messaggio comune a tutte le religioni. Belle cose che bisognerebbe dire più spesso.

Come detto all’inizio, tra poche ore vedrò le prime sequenze di Dylan Dog: ho paura che sarà un sonoro pugno nello stomaco, e non in senso buono. Ma cercherò di guardare l’anteprima libero da pregiudizi e speriamo di essere piacevolmente sorpresi. A domani!

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