Bentornati al nostro consueto appuntamento con la cronaca del Festival di Venezia. Ieri è stata la giornata di Vallanzasca – Gli angeli del male, il nuovo film di Michele Placido che già promette polemiche per il ritratto simpatetico che fa del famoso bandito. Anzi, per la verità le polemiche le ha già sollevate, visto che i familiari della vittime lo hanno accusato di aver fatto l’apologia del criminale. Ma Placido ha le idee chiare: “E’ una questione di libertà di espressione: rispetto il dolore delle vittime, e ho anche avuto delle remore, da bravo italiano educato in un collegio di preti e poi poliziotto. Ma volevo raccontare la figura di un criminale, e Kim Rossi Stuart era interessato quanto me”. Ma il regista non si è fermato qui, e ha rincarato la dose: “Vallanzasca ha le sue colpe, ma è uno dei pochi criminali che ancora stanno in galera. Ci sono persone nel nostro parlamento che hanno fatto cose peggiori”. Al di là delle polemiche, Placido ha voluto chiarire il senso ultimo del suo film: “Renato Vallanzasca è un mito creato dalla stampa. Lui ha una simpatia e una leggerezza che seducono quando lo si incontra. Però dietro a questo c’è il criminale. Lì sta il mistero di Vallanzasca e lì sta il film”.
La pellicola è comunque efficace: certo, nonostante le pretese di Placido di parlare della realtà dietro al mito, non si va al di là di quella facciata da ladro gentiluomo che Vallanzasca ha sempre indossato davanti alla stampa. Ma non è necessario, perché in fondo il film non è altro che la storia di un antieroe, come ce ne sono tante, ed è oltretutto un efficace film di genere. Una cosa sempre più rara in Italia, ma che fa sempre piacere vedere al cinema. Placido dimostra inoltre un rigore registico inaspettato, e alla fine si passano due ore di ottimo intrattenimento. E tanto basta.
Mario Martone ha invece presentato oggi il suo lunghissimo affresco sul Risorgimento italiano, Noi credevamo. Alla conferenza era presente il regista insieme agli attori principali, tra cui Luca Zingaretti, Luca Barbareschi e Luigi Lo Cascio. “Il film è costruito su materiali storici rigorosi, i dialoghi arrivano quasi tutti dalle lettere di patrioti come Mazzini”, afferma il regista. “La mia idea era quella di realizzare film storico che mettesse lo spettatore in condizione di creare un ponte col nostro presente, senza doverlo sottolineare”. E lo sceneggiatore Giancarlo De Cataldo: “In un paese come questo, privo di memoria, ci troviamo di fronte a due retoriche: in una delle due quelli che hanno fatto l’unità sono tutti eroi giovani e belli, pronti a versare il sangue per la patria. Nell’altra il Risorgimento sarebbe una truffa perpetrata ai danni degli italiani che non volevamo liberarsi dai loro sovrani. Nè l’una né l’altra è completamente vera o falsa. Noi abbiamo voluto rappresentare la speranza dei giovani, il sogno di creare una patria”. Il film, co-prodotto da Rai Fiction, ha una durata importante: tre ore e venti minuti. Pare che andrà in onda in televisione a puntate. La stampa lo ha accolto con entusiasmo e in conferenza c’è stato un lungo applauso unanime, anche se ho sentito più di una persona definirlo piatto e televisivo.
La mia giornata si conclude con la proiezione di Promises Written in Water, film scritto, diretto, montato e musicato da Vincent Gallo. Girato in bianco con uno stile che ricorda molto la nouvelle vague (primi piani, lunghi silenzi, dialoghi criptici), il film è un noioso sfoggio di pseudo-autorialità, sorretto da un narcisismo irritante. Gallo manco si è presentato in sala (alcuni dicono che ci fosse, ma in incognito), lasciando tutto sulle spalle della sua attrice Delfine Bafort. La pellicola è stata lungamente applaudita, ma al di là della patina indie mi pare che ci sia ben poco.
Infine, sono riuscito a vedere Quentin Tarantino di persona, quando è arrivato in sala con la giuria poco prima della proiezione. Ma la missione continua lo stesso…