Regia: Nimrod Antal
Cast: Danny Trejo, Walton Goggins, Adrien Brody, Alice Braga, Mahershalalhashbaz Ali, Oleg Taktarov, Louiz Ozawa Changchien, Topher Grace, Derek Mears, Laurence Fishburne
Durata: 107 minuti
Anno: 2010
Attacca con i migliori 120 secondi iniziali probabilmente degli ultimi 20 anni, una bomba d’azione e citazione che mostra subito l’atteggiamento di Nimrod Antal (e in controluce quello di Rodriguez che produce), sembra dica: “Sappiamo che conoscete Predator, sappiamo che c’è stato e vogliamo sfruttare quello per andare avanti”.
A me, lo dico subito, Nimrod Antal piace molto, il suo stile dinamico, invisibile eppur forte mi conquista nello stesso modo in cui faceva quello di John McTiernan. In più la longa mano di Rodriguez, che cura i mille piccoli dettagli utili a rendere Predators un perfetto film in stile anni ’80, fa insolitamente bene. Decisamente meglio di quando dirige in prima persona.
I Predator si moltiplicano e viene introdotta una mitologia interna, cioè una serie di regole che sorreggono la loro società (divisa come già in passato tra superiori e inferiori e dotata di animali e strumenti tecnologici ben illustrati), si gettano insomma le basi per qualcosa di più duraturo, il finale del resto sembra pronto a proseguire la saga.
La sorpresa è che Adrien Brody calza molto e che il machismo anni ’80 ancora regge se ben portato. Ma a vincere davvero la partita è quella mistura che Antal riesce ad operare tra vecchia serie B (il film inizia e finisce senza prologhi o chiusure, ancora più secco del primo) e reaganiana serie A, citando in più punti il vecchio score e ricalcando alcuni topoi come il ricoprirsi di fango, la caduta nel lago da un’altura e via dicendo. Tutto questo sembra un’eredità pesante o un confronto invicibile ma invece Antal lo tramuta in un aiuto illustre.
Tentare una lettura politica o anche semplicemente sociale del film è una bella impresa. Chi sia quel nemico o da dove attingano quelle paure sono domande cui chiunque può trovare risposta ma che difficilmente costituiscono una lettura plausibile. Come dice Schrader “Io appartengo alla generazione esistenziale, nei miei film mi chiedevo se fossi degno di vivere, Tarantino [e i post-tarantiniani come Rodriguez ndb] appartiene alla generazione ironica e si risponde con un chissenefrega“.
E’ o non è l’action movie citazionista definitivo? Conscio del proprio passato ma radicato nella modernità? Qui le altre critiche