Shadow, la recensione in anteprima

Pubblicato il 20 aprile 2010 di Gabriele Niola

Regia: Federico Zampaglione
Cast: Nuot Arquint, Ottaviano Blitch, Giampiero Cognoli, Chris Coppola, Emilio De Marchi, Jake Muxworthy, Karina Testa, Matt Pratesi
Anno: 2009

La verità vera è che dopo Nero Bifamiliare le velleità da regista di Federico Zampaglione erano state archiviate alla categoria “Non è che puoi fare tutto” e ora il suo secondo film (un horror per giunta!) si accompagnava ai peggiori pregiudizi. E invece!
Invece Shadow è un buon film che ha il suo punto di forza proprio nella regia, ovvero nel modo in cui  tutte le singole parti sono armonizzate verso un tutto organico andando incontro ad una visione di cinema chiara e precisa. Shadow non solo è girato bene ma dice pure la sua in un genere in cui non è semplice farsi valere.

L’idea di base è l’horror italiano anni ’70, storie dal respiro internazionale, girate con attori stranieri, in lingua straniera (poi doppiati) ma con troupe italiana e solitamente poco al di là delle Alpi, se non proprio nella campagna laziale (che però sullo schermo sembra il Montana). Ecco così è stato fatto Shadow, che in effetti sembra un film di serie B americano moderno (con una parte di immaginario in stile Del Toro) tanto la mimesi è ben realizzata, eppure la trama è puro orrore italico.
Un ragazzo che per hobby gira i monti in bici in solitaria si imbatte in una zona discretamente maledetta. Lì incontra una ragazza ma anche dei brutti ceffi e proprio quando sembra che la dinamica incontro/scontro/fuga/violenza per difendere la ragazza dai violenti e armati sia il centro del film compare il male vero, quello che si annida nei boschi suddetti e che sta ad un altro livello di repulsione e paura.

Nonostante ci siano tentati stupri, botte, spari e torture Shadow ha pochissimo sangue, per scelta, una scelta fatta con consapevolezza e di certo non con l’obiettivo di non impressionare troppo, anzi! La mancanza di sangue non significa mancanza di efferatezza, ma solo che questa avviene attraverso abili giochi di scena/fuori scena per aumentare la paura e l’insicurezza dello spettatore.
Ad essere sinceri, a fronte di tanto buon lavoro poi il film ha un colpo di scena finale che fa cadere la braccia a terra fragorosamente per come rilegge il resto della trama in maniera svilente rispetto a ciò che sembrava. Volendo però deliberatamente non considerare quest’ultima presa di posizione, quello che rimane è un cinema italiano indipendente (si ho detto indipendente!) ben fatto e finalmente “italiano” nel senso migliore dell’aggettivo.

Ci voleva un cantante per girare un film indipendente per davvero e lontano dai soliti difetti del cinema nostrano? Qui le altre critiche

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