Regia: Alejandro Amenábar
Cast: Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Rupert Evans
Anno: 2009
La dimostrazione che la forza sociale del cinema e il valore comunicativo del racconto audiovisuale non sono morti è, ancora una volta, la conversazione che si instaura intorno ad un film senza che la gente lo abbia visto o, se non altro, senza che si tenga conto della sua reale possibile attrattiva.
Di Agorà si era detto che era il film che non volevano farci vedere, che non sarebbe arrivato in Italia perchè il Vaticano lo bloccava, che era l’ennesimo esempio di censura ecc. ecc. Alla fine ci arriva qui in Italia e dopo averlo visto provo pietà per la società di distribuzione che ha tentato l’impresa.
Si tratta di un film su Ipazia d’Alessandria, figura realmente esistita, donna astronoma vissuta nel momento in cui la religione cattolica diventava quella ufficiale dell’impero romano (a dispetto di quella pagana) e discriminata per il suo sesso nonostante le brillanti intuizioni riguardo il moto dei pianeti.
Siccome i cattolici in questo film sono quelli vestiti di nero che picchiano, uccidono e commettono soprusi si è gridato al “vogliono censurarlo”, senza notare che il film è bruttino forte, noioso forte e didascalico forte.
Nonostante una ricostruzione del periodo dalle idee interessanti, una concezione di base non banale di come la storia si inserisca in una dimensione più grande (continuamente Alessandria è contestualizzata con visioni dallo spazio a stringere o ad allontanarsi) e alcune trovate da grande regista quale Amenabar rimane (la sassaiola che sembra una sparatoria), lo stesso Agorà è schiacciato sotto il peso di una missione presa troppo sul serio. Raccontare soprusi su soprusi (i cattolici sui pagani, gli uomini sulle donne, la forza sulla scienza) senza che il film sia libero di respirare. E quando non ci sono soprusi manichei ci sono lezioni di astronomia da video didattico per licei. Non si intuiscono davvero le motivazioni delle due fazioni!
L’unica domanda sulla quale vale la pena interrogarsi è come un abile narratore quale è Amenbar sia caduto in una simile trappola.
Trappolone storico, polpettone scientifico o riflessione sui soprusi compiuti nel nome della religione? Qui le altra critiche