Amabili Resti, la recensione in anteprima

Pubblicato il 26 novembre 2009 di Gabriele Niola

Lovely Bones Poster USARegia: Peter Jackson
Cast: Mark Wahlberg, Rachel Weisz, Susan Sarandon, Stanley Tucci, Michael Imperioli, Saoirse Ronan, Amanda Michalka, Reece Ritchie, Jake Abel, Rose McIver, Andrew James Allen, Anna George, Nikki SooHoo, Carolyn Dando
Durata: 140 minuti
Anno: 2009

Ad ogni film Peter Jackson sembra migliorare. Le sue trovate si fanno sempre più sofisticate, le idee di messa in scena più raffinate, le ambizioni più alte e l’audacia tecnica più controllata, eppure i film sembrano essere sempre peggiori e Amabili Resti purtroppo non fa eccezione.

Dopo la monumentale impresa di Il Signore Degli Anelli doveva essere diventato il re degli adattamenti letterari al cinema e invece il punto debole di Amabili Resti è proprio quello, cioè che la vicenda è stata ridotta per lo schermo lasciando tantissimi buchi e personaggi apparentemente inutili.
Eccezion fatta per la protagonista e l’omicida (a quando un film di primo piano con Stanley Tucci protagonista?) gli altri personaggi non hanno spessore e spesso le loro azioni hanno poco senso. La famiglia di Suzie non ha personalità nonostante si intuisca come ogni singolo membro potrebbe averla, la madre ad un certo punto va a cogliere mele nelle piantagioni senza ragione apparente, il ragazzo amato e la ragazza che la vede dopo la sua morte non hanno nessuna psicologia nonostante siano presenti in ruoli che sembrerebbero determinanti e infine la nonna (interpretata da Susan Sarandon) subisce un cambio di carattere che non ha nessuna motivazione.

Tutto ciò che nel libro è costruito con un senso e un percorso preciso arriva nel film frettolosamente e alle volte senza quelle basi e quelle motivazioni che gli davano significato. In più il paradiso, o la zona di mezzo, in cui staziona l’anima di Suzie è pari pari quello di Al di là dei sogni (ma proprio tutta la pellicola sembra parente di quel film), stessa ambientazione digitale colorata e new age e stesso rapporto con la realtà.

Se la forza di Peter Jackson torna ad esplodere in alcune sequenze isolate come quella della sorella nella casa dell’assassino o un’altra fantastica in cui pur tenendolo costantemente sullo sfondo riesce a concentrare l’attenzione di tutto il pubblico verso un personaggio mai visto fino a quel momento, o ancora quando sperimenta punti di inquadratura e visuali impossibili con la normale attrezzatura utilizzando una microcamera comprata in una televendita televisiva (sic!), il resto del lungo film (2 ore e passa) è sostanzialmente monocorde.
Solo nel finale, quando la voce fuoricampo della protagonista tira le fila di quel che è successo spiegando il senso del titolo “amabili resti” si intuisce cosa poteva (e forse doveva) essere il film e che non è stato.

Genio incompreso o regista sopravvalutato? Dopo la trilogia tolkeniana qual è il destino di Peter Jackson? Meglio produttore che regista? Qui le altre critiche

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