Dopo il breve assaggio di ieri, la giornata di oggi è stata molto più ricca di eventi. Si è cominciato infatti alla grande con due ottimi film, Hachiko – A Dog’s Story di Lasse Hallstrom e The City of Your Final Destination di James Ivory. Del secondo parlerò a parte in una breve recensione, mentre vorrei affrontare il primo parlandovi anche della conferenza stampa che si è tenuta in tarda mattinata, e ha visto la partecipazione del solo protagonista, Richard Gere. Come ieri per Christopher Lee, già essere in presenza di un’icona come Gere è un buon motivo per assistere alla conferenza, che poi si è rivelata piuttosto interessante, dato che l’attore non si è risparmiato, né sul film né sulla sua personale esperienza di vita, in particolare in riferimento al Buddhismo.
Innanzitutto, il film. Non mi aspettavo che Hachiko fosse così buono, lo giuro. Non amo Hallstrom, ho trovato Chocolat un polpettone banale e prevedibile, e se in parte questo Hachiko ha un certa tendenza al polpettone, viene totalmente riscattato dalla delicatezza con cui è narrata la storia, e da ottime interpretazioni tra cui proprio Gere, che ha abbracciato con classe i suoi sessant’anni – tra questo e Brooklyn’s Finest di Antoine Fuqua. Anche se a rubare veramente la scena è senza dubbio il cane, Hachiko – o meglio, i tre cani che lo interpretano. Gere ha spiegato tra l’altro che i cani non sono stati addestrati, ma si è preferito “creare un ambiente amichevole. Abbiamo girato in digitale per fare delle riprese lunghissime, in attesa di cogliere il momento giusto. Come per i bambini: è magico perché spontaneo“.
Hachiko è il nome di questo cucciolo, che dal Giappone finisce in America e per errore nelle mani di un professore di mezza età, felicemente sposato e con una figlia – e probabilmente un lutto alle spalle, un figlio, di cui però non si parla molto. E già qui si capisce che l’intenzione non è quella di strappare lacrime in maniera disonesta. Si va di bene in meglio, poi: tra il professore e Hachiko si crea un legame speciale. Il cane si reca ogni giorno alla stazione per attendere il padrone e tornare a casa con lui. Poi, all’improvviso succede qualcosa di tragico, e le conseguenze mostreranno quanto può essere profondo il legame d’amore tra due esseri viventi, “al di là del genere e della razza“.
Ed è proprio questo forte sentimento a muovere tutto il film, unito a una narrazione, come detto, delicata, che fa digerire anche un paio di momenti un po’ scontati e ci regala un film per famiglie nel senso migliore del termine, senza troppa melassa, ma sincero e coinvolgente. E Gere lo supporta totalmente, dicendo che “è una storia d’amore” – che tra l’altro è il titolo italiano del film. A questo punto, bisogna fare una precisazione: il film è il remake di una pellicola giapponese del 1987, che racconta la storia vera di un professore e del suo cane, Hachiko appunto, cui è stata dedicata una statua. “La vera storia parlava di un uomo anziano, alla fine della vita“, commenta Gere, “ma si è deciso di farne un personaggio di mezza età, che avesse ancora energia vitale. E’ proprio un film sulla forza vitale. Ha il potere innato di una fiaba per adulti, che archetipicamente ti entra nel profondo. Quando l’ho letta la prima volta, ho pianto come un bambino!”. E continua: “parla di accettazione, lealtà, pazienza. E di quello che realmente siamo, in fondo: non siamo i nostri vestiti, o il nostro taglio di capelli. Siamo una misteriosa forza vitale, guidata dall’amore“.
Gere ha anche parlato del Buddhismo (“i miei primi insegnanti sono stati gli antichi giapponesi“) e dei suoi incontri con due grandi personalità che gli hanno cambiato la vita: il Dalai Lama e Akira Kurosawa. Di quest’ultimo ha detto: “è stato un gigante, non solo del cinema ma dell’arte. Quando l’ho incontrato per la prima volta, l’ho percepito molto più alto di me. Poi, anni dopo ho scoperto che eravamo alti uguali! Incontrare lui, come il Dalai Lama, è come trovarsi di fronte a un gigantesco leone!“.
Gere ha concluso con un breve commento sul nobel a Obama. “Voi cosa ne pensate?“, è stata la sua contro-domanda al giornalista. Il pubblico non ha tardato a rispondere: “E’ troppo presto“, “E’ un premio sulla fiducia“, “Sono perplesso!“. Al che l’attore ha detto una cosa molto condivisibile: “Credo che si tratti di un grande incoraggiamento, per ricordare a Obama il perché sia stato eletto e impedirgli di cadere nello status quo della struttura che lo circonda. E’ stato eletto per essere un visionario, per essere diverso“. Speriamo che sia così: di certo c’è solo che Richard Gere è, e sarà sempre, uno dei grandi leoni del cinema.