Difficile parlare a caldo di questo Rec 2, seguito della riuscitissima pellicola firmata nel 2008 dai registi spagnoli Paco Plaza e Jaime Balaguerò. Difficile per almeno un paio di motivi: primo perché ho visto da poco il primo film, quindi ne ho un fresco ricordo e ciò mi spinge a un paragone molto forte tra i due. Secondo, perché Rec 2 è un oggetto strano, non un film riuscitissimo in sé ma che contiene una manciata di elementi di sicuro fascino, ma perde decisamente l’effetto novità e soprattutto l’asciuttezza del prototipo. Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, la trama: Rec 2 inizia all’incirca sette o otto minuti dopo la fine del primo film. In questo, si pone in una tradizione iniziata forse con Halloween 2 – quello vecchio s’intende. Comunque, una squadra di corpi speciali della polizia di Barcellona viene inviata nel palazzo in quarantena per prelevare alcuni campioni di sangue e cercare di fermare il contagio. Ma ci sono tanti segreti dietro a questo focolaio, segreti oscuri che molti preferirebbero mantenere tali. Nel frattempo, un gruppo di ragazzi alla ricerca di materiale interessante da riprendere, forse per postarlo su YouTube, riesce a penetrare nel palazzo dalle fogne.
Ecco, come avrete capito il primo elemento di novità è dato proprio dal moltiplicarsi dei punti di vista: c’è quello di uno dei poliziotti, che riprende tutto con la videocamera fissata sul suo elmetto. Poi ci sono quelli dei suoi colleghi, che ogni tanto entrano in gioco per esaminare particolari che il primo non può vedere, come una soffitta, o una stanza. Infine, ci sono i ragazzini, ma non manca un terzo punto di vista che non riveliamo per non svelare troppo. L’operazione in sé sarebbe interessante, se non fosse che la storia dei ragazzini risulta in generale non troppo credibile, e i personaggi non hanno le stesse interessanti dinamiche del cast dell’originale – dove in pochi minuti e con pochi tocchi i registi riuscivano a creare personaggi di grande presa.
Molto meglio la prima parte, concitata, ricca di azione e soprattutto interessante perché introduce in un film, in maniera credibile, il punto di vista e le dinamiche dello “sparatutto” in prima persona. Il linguaggio del videogame era già stato chiamato in causa nel primo film, nella scena finale in cui Angela scopre il registratore nell’attico, e ascolta la voce del dottore che ha studiato i casi di possessione. Sembrava una di quelle sequenze di “esposizione” che si vedono nei vari Resident Evil e compagnia. Qui si fa il passo successivo, e invece di usare i videogame come semplice stratagemma narrativo, se ne adotta anche lo stile espressivo. Gli stessi Plaza e Balaguerò mi hanno confermato di essere grandi divoratori di videogiochi, ma di questo parleremo nell’intervista che cercherò di mettere on-line al più presto.
Quanto di buono c’è nel film viene purtroppo intaccato da una messa i scena che, a differenza del prototipo, risulta troppo caotica. Chiaro, stiamo parlando di un film ripreso con la camera a mano, ma la forza di Rec stava proprio nella pulizia con cui venivano rese anche le sequenze più mosse: mai un’azione veniva persa, cosa che non si può dire del seguito. Infine, l’altro grande punto di forza dell’originale, ovvero la geniale idea di non spiegare chiaramente le cause dell’epidemia, ma di suggerirle solamente, viene totalmente contraddetta qui, dove si rivela invece tutto, ma proprio tutto. E’ chiaro e lodevole l’intento di ampliare la mitologia dell’universo di Rec, ma il film ne perde in mistero e atmosfera.
Peccato, perché per la prima mezz’ora si rischia di gridare al miracolo, e la sequenza finale riesce a dire in maniera arguta ciò che Romero aveva tentato senza successo nel suo analogo Diary of the Dead: “ciò che non viene ripreso dalla videocamera non esiste”.
Ma quello che sembra un solido horror e un seguito coi controfiocchi presto si riduce al rango di un discreto film di genere, con qualche buona idea, ma che non riesce neanche per sogno ad avvicinarsi alla grandezza del prototipo.
Il finale è più aperto che mai: magari con Rec 3 ce la si farà…