Disastro ad Hollywood, la recensione in anteprima

Pubblicato il 14 aprile 2009 di Gabriele Niola

Disastro a Hollywood Poster Italia 3Regia: Barry Levinson
Cast: Robert De Niro, Bruce Willis, Stanley Tucci, John Turturro, Kristen Stewart, Lily Rabe
Durata: 107 minuti
Anno: 2009

Spesso Hollywood ha parlato di Hollywood mettendo in scena il making di un film dal punto di vista del tormento produttivo. In questi film si rivelano i retroscena di come si fanno i film ma non come fece Truffaut in Effetto Notte, che cercava di poetizzare il proprio mestiere, gli americani cercano di spoetizzare quanto più gli è possibile per spiegare come davvero si tratti di un lavoro come altri, la cui unica differenza è il giro di soldi e il livello di eccentricità che si registra. Loro che parlano così poco di cinema nei loro film quando lo fanno promuovono la mentalità industriale dietro tutta la macchina hollywoodiana.

Disastro Ad Hollywood però è qualcosa di più. Girato con grande divertimento ma anche con moltissimo sentimento racconta, come spesso capita, di un produttore e dei suoi tormenti lavorativi e personali. C’è un matrimonio (il secondo) che sta finendo, un final cut da portare assolutamente a termine (come vuole la produzione e non come vuole il regista) per poter andare magari a Cannes e un altro film da far partire a tutti costi costringendo un vanesio Bruce Willis a tagliarsi la barba.

Il protagonista assoluto è però Robert De Niro (finalmente in un ruolo dove si impegna sul serio!) produttore esecutivo noto e potente ma non ancora nel giro dei numeri 1, che si districa tra vita privata e professionale affidando a cose banali e stupidissime svolte fondamentali. Dal taglio della barba del capriccioso Willis dipendono gli stipendi di molti lavoratori e la partenza di un film, da un cane che muore su schermo tutto il suo futuro professionale in una serie di alti e bassi che non si distaccano da ciò che conosciamo di Hollywood, dove conta solo l’ultimo film che hai fatto.

Il ritratto della Mecca del cinema infatti è perfettamente coerente con quanto spesso nelle interviste ha raccontato un autore che contemporaneamente è dentro e fuori dal sistema come Martin Scorsese e le dinamiche di potere e di “terrore” sacro per gli attori più importanti molto verosimile.

Levinson si diverte molto a giocare con la diegesi della colonna sonora e a spiazzare lo spettatore con diversi trucchi che non risultano mai fini a se stessi, ma il suo massimo lo raggiunge con la straordinaria levità con la quale riesce a raccontare il lento separarsi di una coppia.
Il film infatti tocca le sue vette più alte grazie ad un sentimentalismo forte e non ostentato. Dietro la patina, le mesh, le scopate e le falsità lavorative la vita del produttore è passata al triste metal detector per mostrarne le quotidiane delusioni e i desideri inespressi di un uomo normale in un contesto straordinariamente grottesco. E proprio su questi inespressi entra in gioco finalmente dopo anni la grandezza di De Niro.

Qual è il miglior film di Hollywood su Hollywood? Chi ha raccontato meglio i tormenti degli attori e i contrasti creativi con i produttori? Tutto quanto qui.

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