Regia: Pupi Avati
Cast: Diego Abatantuono, Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti, Fabio De Luigi, Neri Marcorè, Cesare Cremonini, Katia Ricciarelli, Luisa Ranieri, Pierpaolo Zizzi
Durata: 90 minuti
Anno: 2009
Se fossi uno straniero dalla media conoscenza cinematografica internazionale e mi facessero vedere l’ultimo film di Pupi Avati penserei subito che l’Italia è rimasta ancora vittima del modo di procedere felliniano senza però che sia presente anche quella forza dirompente, senza che ci sia ancora quell’incredibile coraggio d’osare.
Tuttavia non essendo straniero ma italiano e conoscendo da italiano il cinema contemporaneo non solo so che non siamo vittime dell’imponente retaggio felliniano ma anche che le somiglianze evidenti tra l’approccio al ricordo bolognese di Avati e quello al ricordo riminese del Federico nazionale è un’eccezione spiacevole che spero avremo tutti il coraggio di ignorare.
Perchè Pupi Avati gioca con i suoi ricordi (e molti degli attori da lui lanciati) tra esagerazione, caratterizzazione, bozzettismo e grottesco senza mai davvero andare a fondo, senza un immaginario degno di questo nome a coprirgli le spalle e riempirci gli occhi, senza guizzi sorprendenti e senza storie realmente interessanti da raccontare ma solo piccole bagatelle e piccoli screzi.
Avati è un cineasta particolare, uno che per sua ammissione non va quasi mai al cinema e in generale guarda pochissimi film e che per questo ha tutta una sua idea di cinema dotata di poca originalità e soprattutto sempre uguale nel tempo. Un cineasta quindi proprio per questo motivo fuori dal tempo che ha il pregio di fare un film l’anno ma il difetto di mancare ogni volta l’appuntamento con personaggi e situazioni realmente coinvolgenti.
Accade quindi che Gli Amici Del Bar Margherita sia un film dotato dell’indulgenza del ricordo (tutte le malvagità perpetrate sono assolutamente assolte nel nome della bontà di un tempo) e che tenti di far ridere con l’aneddotica spicciola ma che poi manchi di qualsiasi solidità. Si direbbe un film corale ma in realtà non è nemmeno questo perchè dalle tante storie raccontate degli avventori del bar Margherita non esce nulla di unico, non si respira un senso comune del vivere bolognese nel 1954, sono solo storie sfilacciate tra di loro e tenute insieme dall’unità di luogo.
Giusto per amor di completezza una citazione finale va al senso della pellicola e del cinema avatiano espresso nel finale, cioè quel rifiuto di far parte di una storia per prendersi il lusso di guardarla da fuori, raccontarla per comprenderla. Anche stilisticamente il regista si immedesima con il personaggio del documentarista (spesso le immagini che vediamo sono prese dal punto di vista da cui quel personaggio gira) e dunque contemporaneamente prende le distanze dalla materia raccontata e ne diventa parte integrante. Ma come si diceva lo precisiamo solo per amor di completezza e non per reale interesse.
Qual è il tuo giudizio su Pupi Avati? Sul cineasta che quasi si produce da solo un film l’anno, che ha collaborato con tutti i principali attori italiani e che molti ne ha lanciati? Qui gli altri pareri.