Baby Love, la recensione in anteprima

Baby Love, la recensione in anteprima

Di Gabriele Niola

Regia: Vincent Garenq
Cast: Lambert Wilson, Pilar López de Ayala, Pascal Elbé
Durata: 90 minuti
Anno: 2008

Una volta erano le commedie sull’integrazione razziale oggi sono le commedie sull’integrazione sessuale.
I gay, l’esigenza di riconoscere lo stato di famiglia anche agli omosessuali, le difficoltà per avere un bambino e tutto il mondo degli omosessuali accettati o meno dalla società e dalle proprie famiglie (problema che i neri non avevano) sono i temi al centro di molte commedie di costume moderne, commedie che, come spesso capita in questi casi, poi non valgono molto.

A salvare Baby Love forse c’è la sua provenienza. Il cinema francese contemporaneo ha infatti una qualità media impressionante e pur non essendo granchè il film di Vincent Garenq si lascia guardare, ogni tanto strappa qualche risata e in un certo senso può scaldare un po’ il cuore a chi (senza che ci sia nulla di male) si aspetta poco e magari vuole poco.

Inoltre, come tutte le commedie di integrazione, Baby Love sta lì pronto per scatenare domande, interrogativi e polemiche su quanto sia effettivamente a favore dei gay e quanto no, quanto quella visione della problematica sia pregnante, quanto sia veritiera e quanto “opportuna”.
In realtà come ogni film dovrebbe essere solo una storia con dei personaggi che, in quanto individui, non sono rappresentativi di nulla se non di se stessi, ma il cinema e la voglia di commentare del pubblico sono più forti di ogni logica e forse una delle forze trainanti del piacere dell’andare in sala. In questo senso allora il film trova una logica forte.

Altra cosa suriosa è come, con la solita ispirazione hollywoodiana per quanto concerne ambienti, fotografia, ritmo e un certo montaggio, Baby Love dimentica (forse anche appositamente) di essere francese, configurandosi come un film totalmente apolide che è solamente ambientato in Francia.
E’ il massimo del prodotto commerciale esportabile, buono per tutti e senza particolari che lo ancorino ad una certa cultura (che non sia quella europea), forse l’unico modo veramente virtuoso di fare un cinema senza pretese e che sappia fare cassetta (se poi la fa) non dimenticando di intrattenere con un minimo di qualità.

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